Calcio e plusvalenze: l’autogol della UEFA

Di Massimiliano Bonacchi, Fabio Ciaponi e Antonio Marra

da LaVoce.info, 17/01/2022 (qui la versione originale)

In linea di principio, il fair play finanziario ha obiettivi condivisibili. Ma il sistema calcio sembra aver risposto all’obbligo di pareggio di bilancio modificando la propria operatività, più che con una adesione piena allo spirito del regolamento.

Le operazioni sospette 

Il “mondo del pallone” ha dinamiche specifiche e i risultati sportivi e quelli economici si intrecciano con modalità la cui ratio, a volte, sfugge a molti. L’intreccio è evidente quando si analizzano le campagne trasferimenti dei calciatori – elemento strutturale imprescindibile per le dinamiche sportive – e le plusvalenze – che ne sono diretta conseguenza, con effetti economici rilevanti per il sistema calcio. Le indagini aperte da Consob e Covisoc su 64 operazioni di calciomercato ritenute “sospette” hanno acceso i riflettori su un utilizzo potenzialmente improprio dei trasferimenti di calciatori fra club. Il sospetto – a dire il vero legittimo – è che le campagne trasferimenti siano oggi meno centrali per le performance sportive (dunque in una dinamica “fisiologica”) e più guidate dalla necessità di migliorare le performance economiche (dunque in una dinamica “patologica”).

La domanda da porsi, dunque, non è tanto se i risultati economici dei club siano stati influenzati dalle plusvalenze ottenute da cessione di calciatori: certo che lo sono. Occorre chiedersi, invece, come sono cambiate le campagne trasferimenti e come le società le strutturano, quali siano le risorse economiche coinvolte e come siano distribuite tra le varie società. Quanto alle motivazioni, occorre chiedersi perché ciò sia accaduto. E se si possa identificare un fattore determinante è domanda utile per poter comprendere l’eventuale soluzione.

Cosa cambia con il fair play finanziario

Per dare risposta a queste domande, in uno studio disponibile su Ssrn, abbiamo analizzato campagne trasferimenti e bilanci delle società partecipanti a campionati di “serie A” delle cinque principali leghe europee (Inghilterra, Spagna, Germania, Italia e Francia) nel periodo dal 2008 al 2018. L’analisi di 815 bilanci e 4.626 operazioni di cessione di calciatori ha fatto emergere alcuni effetti indesiderati dell’introduzione del financial fair play (Ffp) da parte della Uefa (la norma è stata varata nel 2010 e a regime dal 2013). Con la nuova regolamentazione, l’Uefa mira sostanzialmente all’autofinanziamento del sistema calcio, alla riduzione del livello di indebitamento e a un reindirizzamento degli investimenti in infrastrutture, nonché a una migliore gestione dei vivai di giovani calciatori. Un ruolo chiave, nel Ffp, è affidato al requisito del break-even, che impone sostanzialmente la copertura dei costi con i ricavi, ossia il pareggio di bilancio. Proprio questa particolare imposizione può avere generato un effetto indesiderato.

In particolare, i dati mostrano come, dopo l’entrata in vigore del Ffp per i soli club che partecipano alle competizioni Uefa, sono: (a) mutate strutturalmente le campagne trasferimenti: ricavi da trasferimenti, selezione dei giocatori da vendere, valore delle plusvalenze, divergenza fra il prezzo e il valore del giocatore; (b) sono aumentati i club che generano plusvalenze opportunistiche al fine di ottemperare al vincolo di pareggio di bilancio imposto dalla norma. 

L’influenza sulla struttura delle campagne trasferimenti

Per comprendere l’influenza dell’introduzione del fair play finanziario sul modello di business delle società che partecipano alle coppe europee, nelle Tabelle 1a e 1b si analizzano i dati distinguendo tra: squadre che partecipano alle competizioni Uefa e squadre che non vi partecipano; prima (2008-2013) e dopo (2014-2018) l’introduzione del Ffp. I dati parlano chiaro: i ricavi medi da trasferimento giocatori per squadra crescono di 4,66 milioni per i club Uefa rispetto a 0,55 milioni per quelli nazionali; i ricavi medi da trasferimenti di giocatori del vivaio (che massimizzano le plusvalenze in quando il costo a bilancio è pari a zero) raddoppiano per i club Uefa e aumentano di poco meno di un quarto per i club nazionali; il profitto medio da trasferimento (la plusvalenza registrata), partendo da valori simili prima dell’introduzione della norma (2,68 contro 2,55 milioni) cresce, per i soli club Uefa, di 2,7 volte (da 2,68 a 7,26milioni), con un picco di più di 4 volte (da 2,12 a 9,2milioni), nel caso di operazioni concluse con scambi di giocatori. Si tratta di quelle operazioni cosiddette “a specchio” in cui due club si accordano per scambiarsi due o più giocatori sovrastimando il loro reale valore di mercato al fine di inserire nei rispettivi bilanci valori patrimoniali più alti di quelli che avevano precedentemente, senza però che avvenga alcun flusso reale di cassa tra la parti. Sono queste, in particolare, le operazioni oggi sotto la lente di Consob e procure.

Infine, quando i trasferimenti sono nella forma dello “scambio”, il divario tra prezzo di cessione e potenziale “valore di mercato” dei giocatori (come riportato da transfermarkt.de) aumenta di quasi il 20 per cento post norma e, nuovamente, solo per i club esposti alle regole Uefa. 

Le plusvalenze opportunistiche per raggiungere il pareggio di bilancio

Il lavoro evidenzia anche come l’incentivo più forte a generare plusvalenze opportunistiche sia riconducibile alla necessità di raggiungere il pareggio di bilancio. In tavola 2 abbiamo definito come “sospette” le squadre che in un determinato anno non sarebbero riuscite a superare la break-even rule senza l’aiuto delle plusvalenze da trasferimento, e che sono invece “in regola” per effetto di queste. L’analisi dimostra che, mentre prima dell’introduzione del Ffp la percentuale di imprese sospette era simile per le squadre Uefa e non-Uefa, rispettivamente del 29 e 26 per cento, dopo l’introduzione del Ffp, le squadre Uefa che fanno maggiore ricorso alle plusvalenze. Così, a raggiungere il break-even sono più della metà (52 per cento), rispetto alle squadre non-Uefa che restano sotto il 30 per cento.

Le evidenze empiriche documentano dunque anche effetti indesiderati del Ffp. I club, sotto pressione (si tratta di circa il 50 per cento delle società che partecipano alle coppe), hanno risposto con comportamenti opportunistici modificando le dinamiche delle campagne trasferimenti. Attenzione, però, a non demonizzare le plusvalenze, parte integrante e sana, del modello di business di molti club che valorizzano e rivendono giocatori. 

La normativa attuale necessita di un riordino e la strada da seguire appare quella di limitare le plusvalenze patologiche (fittizie o gonfiate). La proposta della Fifa di un algoritmo che consenta di stabilire il valore economico di un giocatore in maniera meno discrezionale sembra andare nella giusta direzione. Esiste oggi una ampia disponibilità di dati nel sistema calcio e il loro utilizzo in ottica sistemica può essere certamente utile, magari mutuando da sistemi collaudati come quelli delle americane Nfl (National Football League) e Nba (National Basketball Association). Nel ripensare il Ffp, la Uefa ne tenga conto, per evitare un nuovo clamoroso autogol. 

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