I problemi della sanità

di Roberto Farneti

Quest’anno ho iniziato uno dei miei corsi, esattamente un mese fa, illustrando agli studenti i problemi che sono alle origini dei sistemi di sanità pubblica nel mondo occidentale. Quei problemi si chiamavano epidemie e quei sistemi di reazione collettiva da parte degli stati alle emergenze sanitarie costituivano un’alternativa a rudimentali sistemi di assistenza come ospedali religiosi o medici condotti. Che la funzione del medico di campagna fosse così importante lo dimostra il suo ruolo nel romanzo, Da Balzac, a Flaubert, a Kafka, a Pasternak (Zivago era un medico) il medico condotto è una figura entrata nell’immaginario per la sua centralità in un secolo che stava armandosi di strumenti nuovi per far fronte a nuove emergenze. Si cominciava a capire che la risposta sanitaria alla diffusione epidemica di una malattia infettiva non poteva essere la stessa di quella programmata per soccorrere i feriti sul lavoro o negli incidenti stradali. Nel senso che nel caso delle epidemie non era possibile agire concentrandosi anziché sul sistema dell’infezione, sui singoli casi, occorreva uno sguardo d’insieme, si poneva il problema della prevenzione. Le politiche pubbliche in ambito sanitario nascono proprio nel momento in cui si pongono, per la prima volta, problemi di questo tipo, emergenze su vasta scala. In casi come questo è irrazionale pensare di proteggere solo alcuni, certo, non tutti avevano lo stesso accesso alle cure, ma le misure per contenere le epidemie dovevano comunque riguardare tutti, con disposizioni uguali in merito all’igiene del lavoro, la pulizia delle strade, la salubrità degli alloggi, gli scarichi. È una storia raccontata da un libro di un grande storico francese scomparso da poco, Gerard Jorland, Une société à soigner, che ricostruiva la vicenda delle origini delle politiche sanitarie, che si articolavano attraverso una diffusione capillare degli uffici d’igiene, che costituiscono gli avamposti per l’isolamento rapido di un nuovo fenomeno epidemico, attraverso nuovi dispositivi e nuove pratiche come la denuncia obbligatoria dei casi di malattie infettive. Se prima di allora, fino almeno alla Rivoluzione Francese, l’igiene e la prevenzione erano una questione privata, di cui lo stato non si occupava, diventava ora responsabilità dello stato prendersi cura della società nel suo insieme attraverso misure impersonali. Perché impersonali erano le emergenze, che non colpivano solo certi individui. Ora, se guardiamo alla maggior parte dei sistemi di sanità pubblica nel mondo occidentale vediamo che le epidemie sono quasi svanite, mentre il sistema della sanità pubblica è rimasto, avanzano forme di integrazione di tipo privato ma se pensate alla spesa pubblica di uno stato europeo e guardate alla risposta strutturata del nostro sistema italiano, almeno fino a queste ore, vedrete a una reazione che riflette una certa visione, per altro costituzionalizzata, di un diritto fondamentale alla salute, di una sorta di credito di cittadinanza. Per questo suggerii già a inizio corso ai miei studenti di guardare con preoccupazione a quello che, un mese fa, erano prime e modeste avvisaglie di un contagio negli Stati Uniti. Pochi giorni dopo guardai a Face the Nation, un format di notizie della CBS, l’intervista all’unico politico americano che valga la pena ascoltare sullo sviluppo dell’epidemia: Scott Gottlieb sottolineava appunto come al 15 marzo in America avessero chiuso le scuole private ma non quelle pubbliche ed esprimeva una preoccupazione, “che la capacità delle persone di proteggersi da sole si sarebbe differenziata per linee socioeconomiche, dove i redditi più bassi non avranno le stesse opportunità dei redditi più alti”. Questa disarmonia strutturale nel sistema di sanità degli Stati Uniti costituisce il primo e principale difetto di costruzione di quel sistema, che risponde alla diffusione dell’epidemia attraverso azioni parziali e non mediante interventi di sistema, capaci di cogliere l’impersonalità di questa sfida. L’emergenza di queste settimane ci ricorda un dato che avevamo da tempo rimosso: a cosa servono i sistemi di sanità pubblica. È un dato che costituirà presto il discrimine ideologico delle prossime presidenziali americane. Ma non solo, perché quel dato peserà molto anche nel dibattito europeo, perché più che di eroi i nostri ospedali hanno bisogno di personale e risorse.

(Da L’Alto Adige, 28 Marzo 2020)

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