di Federico Boffa e Giacomo Ponzetto (da Lastampa.it, 11 aprile)
L’Occidente ha reagito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia con l’imposizione di severe sanzioni. Sinora, però, queste sanzioni hanno appena sfiorato il fulcro dell’economia russa: le esportazioni di idrocarburi. Gli Stati Uniti hanno adottato un embargo sulle importazioni di petrolio dalla Russia e l’Unione Europea ne ha approvato uno su quelle di carbone; ma in entrambi i casi si tratta di importazioni già modeste. Quel che conta davvero è il grande flusso di gas naturale e petrolio dalla Russia verso l’Europa. Lo sa bene Putin, che proprio su questo terreno ha lanciato platealmente una sfida esigendo il pagamento in rubli. Spetta ora all’Europa raccogliere questa sfida e vincerla.
A fronte delle dimostrazioni sempre più chiare delle posizioni imperialiste del governo russo e della brutalità dell’aggressione militare che sta perpetrando, non manca evidentemente la giustificazione etica per un embargo europeo nei confronti di gas e petrolio russi. Una simile misura radicale avrebbe un costo significativo ma sostenibile. Stime recenti ed attendibili prevedono che l’aumento dei prezzi dell’energia ed il rischio di razionamento dei consumi ridurrebbero il PIL del 2-3% in Germania e verisimilmente altrettanto in Italia, ma meno in Francia ed altri paesi UE. Non a caso il Parlamento Europeo ha adottato con schiacciante maggioranza una risoluzione che auspica un embargo.
All’adozione di un embargo totale ed immediato si frappone l’esitazione dei paesi UE più dipendenti dalle importazioni russe. Esitazione comprensibile, come ha riconosciuto lo stesso Presidente Zelensky in una recente intervista con la Bild, dato il costo politico che avrebbe per il Cancelliere Scholz adottare una misura che causerebbe inevitabilmente una recessione tedesca. La scienza economica ci insegna però che l’alternativa all’embargo non deve essere la conservazione dello status quo, bensì l’adozione di sanzioni più modulate. Tassare severamente le esportazioni russe anziché proibirle potrebbe ridurre significativamente il costo economico, sociale e politico delle sanzioni per l’Europa, a fronte di una modesta riduzione del loro peso per la Russia.
Le esportazioni russe avvengono in un regime di monopolio che sta fruttando enormi profitti al governo di Putin ed agli oligarchi ad esso simbiotici. Al potere di questo monopolio non possono opporsi individualmente le imprese importatrici. Può invece opporvisi collettivamente la UE, assumendo un impegno fermo e credibile a rimettere ai venditori russi soltanto una frazione—per esempio la metà—del prezzo pattuito e fino ad oggi corrisposto dai compratori europei, e trattenere sotto forma di dazio la parte restante, quale contributo forzoso per la pace. Questa strategia impositiva ottimale trasformerebbe gran parte dei profitti russi in gettito fiscale europeo.
Che risposta potrebbe dare la Russia ad una tale inedita fermezza della UE nel far valere il proprio potere economico? Cercare altri sbocchi per le sue esportazioni sarebbe arduo. I gasdotti che notoriamente legano l’Europa ai fornitori russi vincolano ancor più la Russia agli acquirenti europei. Il 40% delle importazioni europee di gas naturale provengono dalla Russia, ma oltre il 60% delle esportazioni russe sono dirette verso la UE. Non resterebbe che il tentativo di mettere alla prova la determinazione europea, rifiutandosi—in parte o del tutto—di esportare alle nuove condizioni. Ne risulterebbe un braccio di ferro certamente costoso per entrambi, ma meno sostenibile per la Russia.
Nel caso più estremo, la Russia potrebbe decretare unilateralmente un blocco totale delle proprie esportazioni. Sarebbe Putin ad imporre questo embargo e ad assumersi dunque la responsabilità non soltanto di sopprimere interamente i profitti residui che finanziano i suoi oligarchi, il suo governo e la sua macchina militare; ma anche di mettere a repentaglio l’occupazione nel settore energetico, che attualmente dà lavoro ad oltre 2 milioni di russi. Invece l’Europa avrebbe la duplice soddisfazione di aver lasciato la porta aperta al compromesso eppure di aver ottenuto il massimo della pressione sull’economia russa. Avrebbe altresì il vantaggio interno di acuire gli incentivi alla diversificazione energetica ed alla transizione verso fonti dal minore impatto ambientale.
La teoria dei giochi indica che l’eventuale decisione russa di bloccare totalmente le esportazioni, ed i costi conseguenti, sarebbero solamente temporanei. La Russia starebbe cercando di svelare un bluff della UE; ma una volta scoperto che non di un bluff si tratta, bensì di un’inamovibile decisione europea di non concedere più gli enormi profitti di un tempo, agli esportatori russi converrebbe rassegnarsi a prezzi e profitti ridotti, piuttosto che continuare a rifiutarsi di vendere ed ottenere quindi profitti nulli.
Di fronte ai prepotenti quali Putin, è tanto minore il rischio di dover ricorrere alla forza quanto maggiore e più chiara è la propria disponibilità ad assumersene i costi per una giusta causa. L’UE, giustamente restia all’uso della forza militare, può disporre di una grande forza economica. È il momento di dimostrare che i cittadini europei ed i nostri governi abbiamo anche la forza civica ed istituzionale necessaria per farvi ricorso, con decisione ponderata e irrevocabile, quando si tratta di ripristinare e preservare la pace in Europa.