I COSTI DELL’ENERGIA. Una scelta imperfetta criticabile e poco coerente, ma rispetto alle altre alternative, quali ad esempio l’aumento del debito, molto meno pericolosa (di Federico Boffa, da Alto Adige, Economia & Innovazione, 17 Febbraio 2022)
I recenti aumenti del prezzo dell’energia elettrica, fino al 50% rispetto ad un anno fa, hanno spinto anche il governo italiano, come quello di altri Paesi europei, ad intervenire per arginare il fenomeno. Sono state adottate tre misure principali. Innanzitutto, nella bolletta sono stati tagliati gli oneri di sistema, cioè la componente di costo fissa per ogni utente che copre le spese generali per il sistema elettrico. In secondo luogo, sono state concesse agevolazioni fiscali alle imprese cosiddette energivore, cioè con un consumo energetico particolarmente elevato. Infine, gli aumenti di prezzo sono stati completamente sterilizzati per alcune fasce di clienti, considerati vulnerabili.
Fin qui, cioè sulle misure che limitano i rincari, il consenso da parte dell’opinione pubblica è stato pressoché unanime. Non possiamo però dimenticarci che non c’è rosa senza spine, e, come spesso accade negli interventi di politica economica, le spine sono rappresentate dai costi degli interventi. Nel caso specifico, purtroppo gli oneri di sistema non scompaiono anche se non li paghiamo più in bolletta, né scompaiono le spese che venivano finanziate dalle imposte che verranno scontate alle imprese energivore. Come sempre, è proprio sulle modalità di copertura delle misure, cioè sul loro finanziamento, che i nodi vengono al pettine e si concentrano disaccordi e malumori.
Il governo non ha deciso di seguire la strada forse politicamente più semplice, ma meno vantaggiosa per lo sviluppo di lungo termine, cioè quella di rinviare i costi al futuro, aumentando il debito e scaricandoli quindi sulle generazioni future. Anche perché il debito, significativamente accresciuto dagli interventi durante la pandemia, rischia di diventare insostenibile se non adeguatamente controllato. Al contrario, il governo ha optato per coprire una parte degli interventi con la tassazione dei cosiddetti extraprofitti realizzati dagli impianti a fonti rinnovabili.
Da dove derivano tali extra-profitti? Per capirlo, occorre considerare che il prezzo all’ingrosso dell’elettricità viene fissato nel mercato elettrico a valle di aste in cui gli operatori elettrici (società produttrici e società rivenditrici) sottopongono offerte rispettivamente di vendita e di acquisto di elettricità. Il prezzo che si forma nel mercato all’ingrosso, al quale si approvvigionano le imprese rivenditrici, è determinato dal prezzo che, per dirla in gergo economico, “chiude” il mercato, cioè quello in corrispondenza del quale domanda e offerta si uguagliano. Di fatto, vista la struttura della produzione di energia elettrica in Italia, il mercato è generalmente “chiuso” dagli impianti alimentati a gas naturale. Il prezzo elettrico all’ingrosso, da cui poi dipendono i prezzi che paghiamo noi utenti sulla base dei contratti con i nostri fornitori, dipende dunque dal prezzo del gas naturale.
Per una serie di cause che, per motivi di spazio, non possiamo approfondire in questo articolo, il prezzo del gas naturale nel mondo è significativamente aumentato, portando con sé l’aumento del prezzo elettrico. Mentre gli impianti che usano gas naturale, a fronte del più elevato prezzo, hanno subito anche un maggior costo per l’acquisto della materia prima, quelli che usano tecnologie rinnovabili hanno incamerato il più elevato prezzo dell’elettricità senza dover sopportare corrispondenti maggiori costi.
Come rilevato in diverse sedi, la scelta di utilizzare, a parziale copertura degli interventi, gli extra-profitti degli operatori che usano fonti rinnovabili è certamente imperfetta e criticabile da diversi punti di vista: intanto perché cambiare le regole sulla tassazione dopo che sono stati realizzati gli investimenti, nel caso specifico nel settore delle rinnovabili, non contribuisce certo a aumentare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni pubbliche; in secondo luogo perché è evidente la scarsa coerenza fra l’aumento di tasse sulle rinnovabili e gli obiettivi della transizione ecologica. Tuttavia, come sopra illustrato, tale scelta ha una sua logica e, forse, rappresenta il male minore rispetto ad altre alternative, quali l’aumento del debito, molto più pericolose.
E’ peraltro evidente come tali misure, per poter essere condivisibili, debbano rimanere misure emergenziali limitate a periodi ben circoscritti nel tempo di particolare difficoltà. Inoltre, è opportuno accompagnarle con interventi strutturali, sulle fonti, sulle tecnologie o sui mercati, che consentano di ridurre il prezzo che paghiamo in bolletta nel medio e lungo periodo, così da allinearlo a quello degli altri Paesi europei.