Sostenibilità: tra il dire e il fare

di Massimiliano Bonacchi e Nicola Dalla Via (da L’Alto Adige, 13 Settembre 2021)

Il concetto di sviluppo sostenibile è entrato nel linguaggio comune: dal marketing di prodotti commerciali, alle strategie aziendali, sino alla prospettiva di sviluppo di un intero territorio come l’Alto Adige, per arrivare ad uno dei pilastri del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). Ma cosa vuol dire per una impresa porre la sostenibilità al centro della strategia aziendale?

Essenzialmente si tratta di: 1) Ridefinire il proprio fine aziendale; 2) Misurare la capacità di crescere in modo sostenibile; 3) Gestire la sostenibilità adattando l’organizzazione aziendale a questa nuova visione del capitalismo; 4) Dimostrare di essere sostenbili.

1) Il fine aziendale

In questo rinnovato modello di capitalismo, la creazione di profitto per gli azionisti (shareholders) non rappresenta più il fine ultimo, ma diventa una condizione per poter realizzare un progetto aziendale rivolto ad una platea allargata di fruitori di interessi (stakeholders, ovvero azionisti ma anche dipendenti, clienti, fornitori e comunità in generale). Il fine aziendale è il motivo stesso per cui un’azienda esiste, la sua ragion d’essere e rappresenta il ruolo che svolge nel mondo. Risponde alla domanda: “In che modo la tua azienda contribuisce a rendere il mondo, anche solo in piccola parte, un posto migliore?” Molto spesso, in passato, si è confusa la sostenibilità con qualcosa di indefinito, che implica lo svolgimento di attività non volte al conseguimento del fine aziendale o che sacrificano il profitto per rimediare al danno creato dalle attività principali. Niente di più sbagliato. Farsi guidare dal fine aziendale non vuol dire diventare un’azienda non-profit che vuol dividere la “torta” dei profitti fra più stakeholders, bensì significa dimostrare come tramite l’innovazione si possa al contrario allagare questa “torta”, creando profitto e al contempo ridurre l’impatto negativo sulle persone e sull’ambiente.

Sono sempre di più in Italia le imprese convinte di questa necessità tanto da adottare un modello di business rigenerativo riscrivendo lo statuto per aggiungere al profitto il bene sociale e ambientale. Si tratta dell’emergente fenomeno delle “Società Benefit”, introdotte nell’ordinamento italiano nel 2016 e che si stanno diffondendo rapidamente. Nell’ultimo anno il numero di società benefit italiane è quasi raddoppiato. Attualmente, in Trentino-Alto Adige ancora solo 16 società sono iscritte nell’elenco tenuto da B Lab e AssoBenefit e disponibile online (https://www.societabenefit.net/elenco-delle-societa-benefit/).

2) Misurare la capacità di crescere in modo sostenibile

Ma cosa significa davvero crescere in modo sostenibile? Significa come minimo non danneggiare le persone o il pianeta. Nell’ipotesi migliore, significa creare valore per un numero maggiore di stakeholder rispetto ai soli soci o azionisti attraverso il miglioramento della qualità del proprio impatto ambientale, sociale e delle regole di governance (da qui la sigla ESG – Environmental, Social, Governance).

In questo mutato contesto, misurare la sostenibilità significa quindi prevedere per ogni stakeholder delle misure di performance da utilizzare sia per pianificare le strategie aziendali ex-ante, sia poi ex-post per valutare il miglioramento del proprio impatto ambientale e sociale e per incentivare i manager non solo per i risultati finanziari ottenuti, ma anche in relazione ai risultati di sostenibilità raggiunti.

Si pensi alla scelta di Pirelli di produrre pneumatici “green”, definiti verdi perché prodotti con gomma riciclata e con una più bassa resistenza al rotolamento, riducendo le emissioni. In Pirelli questa strategia e’ implementata non solo misurando il valore dei ricavi da pneumatici verdi, ma anche incentivando i manager sulla base della percentuale di pneumatici verdi venduti. Infine, tramite il bilancio di sostenibilità si comunica la riduzione di CO2 generata dall’utilizzo di pneumatici verdi al posto di quelli tradizionali.

3) Gestire la sostenibilità

Gli imprenditori non possono più permettersi di affrontare la sostenibilità come una cosa “bella da avere” o come una mera funzione di supporto al core business. Occore, invece, fare della sostenibilità il fulcro della strategia aziendale, rendendo la sostenibilità il principio ispiratore nelle decisioni quotidiane e creando una partecipazione dal basso dell’organizzazione verso i nuovi obiettivi. Un segnale che dimostra un approccio proattivo verso la sostenibilità è rintracciabile in una struttura organizzativa che prevede la presenza di un Chief Sustainability Officer (CSO) o di un CSR manager che riporti direttamente al CEO, o comunque ad un membro del consiglio di amministrazione. Si tratta di prevedere una funzione trasversale ai processi operativi che monitora l’allineamento fra la struttura operativa e il perseguimento degli obiettivi di sostenibilità. In molte imprese non c’è un responsabile della sostenibilità oppure è nascosto sotto altre funzioni come quella legale, risorse umane e comunicazione. In entrambi i casi, il rischio è di dare l’impressione di non prendere sufficientemente sul serio il tema dello sviluppo sostenibile. In Alto Adige ci sono ancora soltanto tre iscritti all’associazione di categoria “CSR Manager Network”.

4) Essere sostenibili non basta, occorre anche dimostrarlo

Una volta passati dal dire al fare, la domanda a cui rispondere è: “Quali sono i vantaggi nel comunicare all’esterno le buone pratiche di sostenibilità adottate?” Se dalla parte del cliente è facile distinguere il marketing dei prodotti sostenibili da quelli che non lo sono (si pensi ad esempio alle tante aziende altoatesine che possono vantare eccellenze in termini di sostenibilità dei propri prodotti), dal lato invece del mercato finanziario (banche e investitori di private equity, per esempio) la distinzione tra imprese che hanno intrapreso un serio percorso verso lo sviluppo sostenibile e quelle che invece fingono in modo opportunistico (greenwashing),  può essere meno immediata. Per tale ragione occorre affiancare al bilancio finanziario di esercizio un bilancio di sostenibilità che parli anche agli altri stakeholder non azionisti con una serie di misure non finanziarie (emissioni di gas serra, incidenti sul lavoro, diversità negli organi di governo e tra dipendenti, ore di formazione, verifica e valutazione dei fornitori, …) che dimostrino i risultati in ambito sociale e ambientale. Peraltro, la rendicontazione di tali informazioni non finanziarie è già obbligatoria dal 2017 per le grandi imprese quotate. In Alto Adige solo il 2,8% delle imprese redige un bilancio di sostenibilità, mentre in Trentino la percentuale è del 3,4% (Istat, 2016-2018). A livello nazionale, la percentuale si attesta al 2,5% e aumenta al crescere della dimensione d’azienda.

In questo percorso verso la sostenibilità molte imprese si chiedono come capire a che punto sono o come un soggetto esterno lo possa valutare e di conseguenza come migliorarsi. Questo sforzo può essere particolarmente gravoso per le imprese non quotate che non ricevono i rating di sostenibilità da parte del mercato finanziario o i feedback degli analisti. Per ovviare a tale problematica, si può misurare il proprio impegno per la sostenibilità tramite strumenti di autovalutazione. Un esempio di successo che si sta diffondendo rapidamente anche in Italia è quello del “B Impact Assessment”. Utilizzando un questionario disponibile gratuitamente on line, è possibile misurare l’impatto delle iniziative di sostenibilità intraprese dall’azienda e il valore che l’azienda crea per la società. Il punteggio ottenuto (tra 0 e 200) permette di effettuare benchmark rispetto ad altre imprese in Italia e nel mondo e di individuare le aree di miglioramento. Le aziende che raggiungono un punteggio di impatto superiore a 80 possono aspirare al riconoscimento di tale performance ottenendo la certificazione B Corp promossa dall’ente non profit B Lab.

In Trentino-Alto Adige, solo due aziende sono già certificate B Corp, una in provincia di Trento e una in provincia di Bolzano. 

Tra il dire e il fare è necessario investire in una (nuova) cultura aziendale che orienti le scelte delle imprese ad implementare correttamente le strategie di sviluppo sostenibile sfruttando il vantaggio competitivo che queste possono portare. Gli strumenti legislativi e manageriali sono disponibili, ma quello che può essere migliorato con l’aiuto dell’università, delle istituzioni e delle banche del territorio è una migliore cultura della sostenibilità.

Un significativo momento di riflessione e stimolo su questo tema sarà quello di lunedì 20 settembre, ore 17:00, durante la lectio magistralis del premio Nobel Robert Engle che si terrà presso l’Aula Magna dell’Università di Bolzano. Presenti anche il Presidente della Provincia Arno Kompatscher, la Presidente di unibz Prof. Ulrike Tappeiner e due esponenti del mondo finanziario e imprenditoriale. Per partecipare, è indispensabile l’iscrizione gratuita all’indirizzo https://bit.ly/Nobel_Sustainabilty_unibz

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