di Mirco Tonin
Esiste in italiano un modo di dire — con evidenti connotazioni sessiste — riguardo alla desiderabilità di avere, allo stesso tempo, una certa quantità di vino a disposizione e la partner in stato di ebbrezza. Lo stesso atteggiamento sembra spesso prevalere quando si parla di sicurezza stradale, altra situazione in cui purtroppo lo stato di ebbrezza gioca un ruolo non secondario.
Da un lato, lo stillicidio quotidiano di morti e feriti sulle strade, spesso molto giovani, è giustamente considerato inaccettabile. Il portato di dolore causato da questi eventi genera un senso di pena e compassione che non può lasciare indifferenti. Dall’altro lato, però, le misure che vengono messe in atto per aumentare la sicurezza stradale sono in molte occasioni male accettate da parte della popolazione, che le vede come impicci, attacchi al proprio stile di vita o scuse delle amministrazioni locali per fare cassa.
È assodato che l’eccesso di velocità sia uno dei fattori determinanti della gravità degli incidenti, eppure episodi criminali come la manomissione di autovelox in Veneto e Lombardia vengono interpretati da qualcuno come atti di «resistenza» a chissà quale prevaricazione. Vi è poi una vivace discussione circa l’opportunità di ridurre il limite di velocità in zone urbane a 30 km/h, provvedimento da poco implementato a Bologna e in discussione anche a Trento.
Un modo per fare emergere questa contraddizione nel modo di pensare comune è quello di renderla esplicita, mostrando se e come le varie misure riducono effettivamente le vittime della strada. La decisione se adottarle o meno può poi avvenire con la consapevolezza delle conseguenze e non sulla base di posizioni ideologiche o, peggio, di un pensiero magico che vuole la riduzione del numero di vittime e, contemporaneamente, anche meno limiti e controlli per chi guida.
Un esempio in tal senso è uno studio di un gruppo di economisti dell’Università di Cagliari, Silvia Balia, Rinaldo Brau e Marco Nieddu, in corso di pubblicazione per il Journal of Law and Economics. Lo studio valuta l’effetto dei limiti di potenza introdotti nel 2011 per i veicoli guidati nei primi 12 mesi dai neopatentati. L’articolo mostra come grazie al provvedimento gli incidenti tra i giovani guidatori diminuiscono del 13%, e gli incidenti mortali del 28%. In un periodo di cinque anni significa circa 95 morti e 6,200 feriti in meno. La speranza è che dati di questo tipo permettano di comprendere meglio i costi e i benefici dei vari provvedimenti, portando la discussione su posizioni più razionali. Proprio per questo
le politiche vanno valutate, altrimenti si rischia di cadere in qualcosa che assomiglia al tifo che va pure bene allo stadio, ma non dovrebbe guidare la discussione pubblica.
Pubblicato su Il Corriere del Trentino e Il Corriere dell’Alto Adige il 27 gennaio 2024