di Federico Boffa e Giacomo Ponzetto, da Il Foglio, 27 Maggio 2022
La Russia ha incontrato pochi ostacoli nello sfruttare il prezzo particolarmente elevato dell’energia, in parte dovuto proprio alla sua invasione dell’Ucraina, per ricavare dall’esportazione di idrocarburi ingenti profitti che ne finanziano gli oligarchi, il governo e la macchina bellica. Conta prevedibilmente poco l’embargo europeo sulle importazioni di carbone russo, che ammontavano ad appena € 5,5 miliardi nel 2021. Inciderebbe semmai un embargo sul petrolio (€ 74 miliardi di importazioni), ma i governi europei continuano a discuterlo senza raggiungere un accordo.
Intanto, l’Eni ha ammesso di aver aperto un conto in rubli presso Gazprombank, come Putin ora esige dai compratori europei di gas naturale russo. Dispiace che sia proprio il grande gruppo industriale italiano ad assecondare per primo la richiesta del Cremlino. Non può però sorprendere: la teoria economica insegna che i singoli importatori, quand’anche abbiano le dimensioni dell’Eni, non possono individualmente tenere testa a Gazprom, società direttamente controllata dal governo russo e che gode di un monopolio legale sulle esportazioni di gas tramite gasdotto.
È invece l’Unione Europea che può e deve contrastare il potere di monopolio russo nel mercato dell’energia. Può perché ha un peso economico ben superiore non solo a quello dell’Eni, ma anche a quello di Gazprom. Deve perché la questione, prima ancora che di politica estera, è di politica commerciale, ambito di sua competenza esclusiva.
La risposta efficiente ad un monopolio estero delle esportazioni è nota da decenni. Come spiega il libro di testo di Elhanan Helpman e Paul Krugman, massimi esperti mondiali di economia internazionale, è una soluzione sorprendentemente semplice: occorre imporre un tetto al prezzo pagato ai fornitori russi. La logica sottostante è immediatamente intuitiva: per gli esportatori è meglio guadagnare meno che non guadagnare nulla. Non a caso la Russia ha già offerto petrolio ad India e Cina con sconti dell’ordine di $ 35 al barile. Putin ha inoltre recentemente confermato, in una conversazione telefonica con Draghi, l’intenzione di garantire una fornitura ininterrotta di gas russo all’Italia.
Sembra consapevole di questa politica ottimale Draghi, che più volte ha dichiarato di propugnare in sede europea un calmiere dei prezzi pagati alla Russia. Perché dunque la UE non agisce? Presumibilmente per paura di una ritorsione russa. I manuali d’economia assumono che gli esportatori si riconoscano incapaci di opporsi al tetto dei prezzi, come probabilmente farebbe Gazprom. Non così però il Cremlino, che potrebbe piuttosto sfidare la UE con un blocco delle esportazioni.
Ancorché il timore sia fondato, nuovamente concordano la teoria economica ed il semplice buon senso: quanto più si dimostra di temere un ricatto, tanto più gravemente ad esso ci si espone. In particolare, Putin ha ampiamente dimostrato la sua politica di rispondere ad ogni concessione con maggiori richieste, e di rispettare invece unicamente le dimostrazioni di forza. Spetta pertanto alla UE, e direttamente al governo italiano, proibire all’Eni e ad altri importatori di utilizzare i propri conti in rubli per pagare Gazprom. Al contrario, va ribattuto a Putin che se deciderà di rifiutare il pagamento in euro e chiudere i rubinetti del gas, non gli sarà concesso di riaprirli che ad un prezzo calmierato.
Sono ovvi i vantaggi morali, strategici ed ecologici di tale scelta. Bloccare le esportazioni priverebbe Putin dei profitti che finanziano il suo governo, il suo esercito ed i suoi oligarchi. Minerebbe altresì la sua popolarità mettendo a rischio l’occupazione nel settore energetico, che dà lavoro a 2,5 milioni di russi. Al contrario, stimolerebbe l’Europa a diversificare il proprio approvvigionamento energetico ed accelerare la propria transizione verso fonti di energia più verdi e sostenibili.
Forse meno ovvi, ma non meno importanti, sono i vantaggi economici. Un blocco totale delle esportazioni energetiche russe costerebbe alla Germania un calo del PIL tra il 0,5% ed il 3%, secondo le più recenti e migliori stime di un gruppo di ricerca guidato da Moritz Schularick e Moritz Kuhn dell’Università di Bonn. È stimabile un effetto analogo per l’Italia, ma minore per la UE nel suo complesso. Costi significativi, certo, ma sostenibili; e, quel che più conta, di tanto più breve durata quanto più chiara sarà alla Russia la fermezza della UE e la sua disponibilità a sostenerli. Al contrario, riconoscerci ricattabili da Putin comporterebbe costi duraturi, gravissimi sul piano economico ed incalcolabili su quello politico.