di Mirco Tonin
I parallelismi tra realtà radicalmente diverse di solito non funzionano bene. Governare una nazione non è come gestire una famiglia e il bilancio dello stato non deve necessariamente essere amministrato secondo gli stessi principi del budget familiare. Il libro “Crisi – come rinascono le nazioni” di Jared Diamond, pubblicato nel 2019 da Einaudi, rappresenta una eccezione. Il fulcro del libro è infatti l’analogia tra crisi degli individui e crisi delle società. In particolare, l’utilità di impiegare i fattori che i terapeuti hanno individuato come cruciali nel determinare l’esito delle crisi personali per esaminare le crisi a livello sociale.
Il libro sviluppa vari esempi storici di crisi. Alcune sono provocate da shock repentini dovuti a fattori esterni, come la fine forzata della politica di isolamento del Giappone a seguito dell’intervento della flotta americana nella metà del diciannovesimo secolo. In altri casi, i fattori della crisi sono interni, come il golpe di Pinochet nel 1973 in Cile. Infine, alcune crisi sono più graduali, come il caso della Germania nel secondo dopoguerra.
Ma quali sono questi fattori e come si applicano al caso italiano?
Si comincia con il riconoscimento dello stato di crisi, secondo il noto principio secondo cui il primo passo per risolvere il problema dell’alcolismo è ammettere di avere un problema con l’alcool. Per quanto riguarda le conseguenze del COVID, nessuno mette in dubbio che l’Italia si trovi attualmente in uno stato di crisi. Tuttavia, non si può dimenticare come anche precedentemente al virus il paese si trovasse in una situazione di stagnazione pluridecennale e il riconoscimento di questa crisi strutturale, su cui si innesta ora la crisi COVID, non è così ovvio. Ne sono un esempio le note battute sui “ristoranti pieni”.
Un secondo passo è l’accettazione della responsabilità personale. Qui la situazione in Italia è drammatica, a tutti i livelli. Oltre ad una costante ricerca di capri espiatori esterni, siano essi “la perfida Germania”, i burocrati di Bruxelles o l’euro-che-non-ci-permette-di-svalutare, vi è un continuo rimpallo delle responsabilità tra vari centri decisionali. “Doveva chiudere la Regione” contro “doveva chiudere lo Stato” rende l’idea di come l’accettazione delle proprie responsabilità non sia un fenomeno propriamente diffuso, sia per quanto riguarda la crisi strutturale, sia per la gestione – diciamo non sempre ottimale – della crisi COVID. Collegato a questo vi è la capacità di effettuare una autovalutazione personale onesta. Individuare i punti di forza e di debolezza del paese, senza imbellettamenti per sé stessi e per la propria categoria, è tanto necessario quanto difficile in un contesto in cui una simile attitudine può essere scambiata per debolezza.
Un ulteriore fattore individuato dai terapisti è la necessità di confini chiari per delineare i problemi individuali da risolvere. L’errore in questo caso è pensare o sostenere che sia necessario cambiare tutto (modo efficace per non cambiare niente, come diceva il Principe del noto romanzo) o disperdere gli interventi e le risorse in mille rivoli scollegati – qualcuno ha ordinato della domotica alla Farnesina? – utili più a compiacere gruppi e gruppuscoli che a risolvere alcunché. Quello che servirebbe è all’opposto l’identificazione di poche, chiare, ben delimitate priorità, per concentrare le scarse risorse finanziarie ed energie politiche a disposizione su di esse.
Le persone in crisi dovrebbero poi richiedere aiuto concreto ed emotivo ad altri singoli o gruppi e, collegato, avere gli altri come modello per la risoluzione dei problemi. Far parte di una comunità di stati come l’Unione Europea permette all’Italia di ricevere un aiuto concreto nella forma del Recovery Fund (o Next generation EU), anche se le discussioni riguardo al MES mostrano come non sempre ci sia la volontà di “richiedere aiuto”, anche quando questo viene messo a disposizione. Per quanto riguarda i modelli, c’è l’imbarazzo della scelta. L’Economist uscì nel 1999 con uno speciale sulla Germania come “il malato d’Europa”, riferendosi alla preoccupante situazione economica del paese. Molti altri paesi hanno affrontato crisi pesanti e ne sono usciti con azioni incisive. È però dubbio che, influenzati anche dalla retorica sovranista, vi sia al momento la volontà di imparare da modelli esterni.
Altri fattori utili ad uscire dalle crisi individuali sono la forza dell’io, la pazienza e valori fondanti individuali. Anche su questo, l’offerta in Italia è piuttosto magra. Governi composti da coalizioni altamente eterogenee e di durata molto incerta hanno naturalmente forti difficoltà ad individuare un orizzonte comune di lungo periodo. Anche nella società, decenni di speranze disattese favoriscono il cinismo, la polarizzazione e la mancanza di fiducia e di valori condivisi che sarebbero indispensabili per provare a raggiungere un obiettivo comune.
L’Italia dispone invece di molta “esperienza di crisi personali precedenti”, a cui si fa talvolta riferimento per sottolineare come il paese sappia dare il meglio di sé in condizioni difficili, quando veti incrociati e la reticenza al cambiamento vengono superati di fronte all’ineluttabilità delle scelte. Collegato a questo vi è il fattore “personalità flessibile” che potremmo collegare alla fiducia nell’italica creatività, se non alla meno nobile arte di arrangiarsi. Magari è effettivamente così, ma pare rischioso fare eccessivo affidamento sul fatto che si riesca ad uscire dalla crisi all’ultimo momento utile con qualche idea brillante.
Per concludere, l’ultimo fattore è la “libertà da gravi costrizioni personali”. Anche questo aspetto, una volta traslato nel contesto di un paese come l’Italia, è problematico. L’andamento demografico e l’esistenza del macigno del debito pubblico rappresentano due limiti macroscopici alla capacità di fronteggiare la crisi, a cui si aggiungono fattori globali come, ad esempio, le conseguenze della crisi climatica.
Le società non sono delle persone ed è quindi tutt’altro che scontata l’opportunità di traslare dei concetti da un ambito all’altro. Nel suo libro, Jared Diamond ci mostra però come si possa imparare qualcosa da una riflessione di questo tipo. E l’Italia di riflettere ed imparare ha in questo momento un grande bisogno.
Articolo apparso su Econopoly, Il Sole24Ore, il 24 novembre 2020