Siamo pronti a credere alla disinformazione, ma anche a reagire in maniera fatalistica quando le cose sembrano troppo difficili. Ecco cosa ha da insegnare l’economia comportamentale
di Mirco Tonin
“Il COVID è come una normale influenza” o “il virus è una macchinazione politica” – esempi di messaggi veicolati da mezzi di comunicazione di massa, mentre sui social media si trova ben di peggio. Ma le persone si fanno veramente influenzare nei propri comportamenti quotidiani da questo tipo di messaggi? Finché si tratta di denigrare gli avversari politici si è magari propensi ad ascoltare e diffondere le teorie cospirative più strampalate, ma quando si parla della salute propria e dei propri cari, sicuramente le persone fanno affidamento su informazione di qualità. Un ragionamento plausibile, ma eccessivamente ottimistico a giudicare da una serie di studi effettuati soprattutto nel contesto americano in riferimento al network televisivo pro-Trump Fox News.
Un lavoro di Elliott Ash del Politecnico di Zurigo e Sergio Galletta dell’Università di Bergamo, insieme ad altri coautori, mostra come, nel periodo tra marzo e aprile, le contee americane in cui Fox News ha un maggior numero di spettatori sono anche quelle in cui le persone erano meno propense a rimanere a casa, come risulta dai dati di localizzazione dei telefoni cellulari, e dove vi sono meno acquisti di prodotti come mascherine e gel disinfettante. Per individuare l’impatto del network televisivo gli autori sfruttano il fatto che Fox ha maggiori spettatori nelle località in cui ha una posizione più bassa nella numerazione automatica del ricevitore televisivo, posizione che viene assegnata in maniera arbitraria. Si tratta dunque di una relazione di causa-effetto: l’atteggiamento tra lo scettico e il cospirativo di Fox News sul COVID nelle prime fasi della pandemia ha indotto le persone ad adottare minori misure preventive verso il contagio.
Altri studi confermano questa conclusione, addirittura mostrando l’effetto di specifici programmi all’interno di Fox, alcuni più cauti, altri maggiormente scettici verso il virus, sui comportamenti dei cittadini e su contagi e decessi.
Messaggi che minimizzano o politicizzano il virus inducono dunque comportamenti scorretti da parte delle persone. Qualcuno potrebbe quindi pensare che sia utile agire in direzione opposta, enfatizzando la pericolosità della situazione, basandosi sul presupposto che una popolazione impaurita può essere più propensa alla cautela. Vari studi suggeriscono che neanche questo è il caso.
Un esperimento condotto insieme a vari coautori da Jesper Akesson, della società di consulenza britannica “The Behavioralist”, su 3610 partecipanti americani e inglesi a fine marzo mostra innanzitutto come le persone tendano a sovrastimare l’infettività del virus, misurata dall’oramai famoso parametro R0. Ricevere informazione circa l’opinione degli esperti corregge almeno in parte la loro percezione. Nell’esperimento questa percezione viene manipolata, fornendo ai partecipanti varie stime circa l’infettività, tutte plausibili data l’incertezza che circondava, soprattutto all’inizio della pandemia, le caratteristiche epidemiologiche del virus. Paradossalmente, le persone a cui viene comunicato che gli esperti stimano come ciascun individuo infetto produca in media 5 infezioni secondarie sono meno propense ad adottare misure di distanziamento sociale rispetto alle persone a cui viene comunicato che la media è di 2 infezioni secondarie per persona infetta.
Sottolineare eccessivamente la gravità della situazione può dunque indurre ad avere un atteggiamento fatalistico, scoraggiando l’adozione di misure preventive. Questo tipo di comportamento emerge anche in un altro esperimento condotto negli Stati Uniti. Le persone a cui viene fatto vedere un messaggio ottimista, che sottolinea come il distanziamento sociale sia una misura efficace per guadagnare tempo in vista dello sviluppo di un vaccino, sono maggiormente propense a seguire le raccomandazioni di prevenzione rispetto a persone a cui viene mostrato un messaggio in cui si sottolinea invece come il distanziamento sociale non sia risolutivo e sarà necessario mantenerlo a lungo.
Il messaggio che viene veicolato alla popolazione influisce sui comportamenti e una strategia di comunicazione appartiene dunque di diritto alla cassetta degli attrezzi utilizzabili per contenere la pandemia. Si tratta di calibrare questa comunicazione sulla reazione effettiva delle persone ai vari messaggi, tenendo conto che siamo proni a credere alla disinformazione, ma anche a reagire in maniera fatalistica quando le cose sembrano troppo difficili. Drammatizzare può essere dunque altrettanto pericoloso che minimizzare e va trovata la giusta via di mezzo. Gli incentivi vanno però spesso nella direzione opposta: da un lato si può tendere a rassicurare eccessivamente la popolazione per contenere l’impatto economico della pandemia, dall’altro drammatizzare può servire ad attirare l’attenzione e i relativi introiti pubblicitari o a guadagnare consensi screditando chi gestisce la crisi. Un esercizio dunque complesso, ma imprescindibile per evitare di aggravare ulteriormente la gestione della pandemia.
Pubblicato su IlSole24Ore+ il 5 settembre 2020