Lo sblocco dell’economia non può che essere differenziato. E stavolta il motore deve essere il Mezzogiorno
di Federico Boffa e Giacomo Ponzetto
L’Italia e il mondo stanno patendo una pandemia in crescita esponenziale. L’urgenza è frenarla con l’isolamento delle persone e il blocco dell’economia. Nel breve termine, questa battuta d’arresto è sostenibile, se sorretta da politiche fiscali e monetarie che ne ammortizzino i costi reali, ripartendoli nel tempo e fra le persone. Il blocco totale non potrà però protrarsi indefinitamente, finché non venga sviluppato un vaccino o acquisita l’immunità di massa. Comprometterebbe troppo gravemente il sistema produttivo, già notevolmente indebolito, con ricadute socio-economiche insostenibili anche per il sistema sanitario e il rispetto della quarantena stessa. Perciò i governi, oltre a gestire l’emergenza, devono sin d’ora sviluppare e comunicare un piano di medio termine per far ripartire l’economia, ma non il contagio.
Occorre imparare dal diverso successo di reazioni diverse ai primi casi. L’epidemia è cresciuta fuori controllo, fino al blocco totale, dove si è reagito tardi: prima in Cina, il cui governo ha colpevolmente occultato il contagio iniziale; poi in Italia e in molti altri paesi il cui ritardo sembra legato semmai a difficoltà organizzative e logistiche. Hanno invece controllato l’infezione senza arrestare l’economia Corea, Singapore e Taiwan, che hanno reagito prontamente: somministrando test su larga scala e sfruttando la tecnologia per tracciare i contatti di chi è risultato positivo e verificare il rispetto di una quarantena circoscritta.
Chi, come l’Italia, non ha saputo seguire da subito l’esempio vincente delle democrazie d’Estremo Oriente deve sfruttarlo ora come strategia per uscire dal blocco totale: non quando la pandemia sia definitivamente scomparsa, ma quando sia possibile gestirla con un sistema che ne mitighi i costi umani ed economici. Una cauta ripartenza va studiata già per aprile: meta ambiziosa ma raggiungibile.
Le politiche necessarie restano anzitutto sanitarie e logistiche. Bisogna produrre, acquistare e distribuire quanto serve—diagnostici, mascherine, disinfettanti—non soltanto per gli ospedali ma per un’ampia diffusione. Bisogna studiare quali farmaci già facilmente disponibili aiutino a ridurre la durata dell’infezione. Bisogna approntare un sistema tecnologico, legale e sociale per tracciare spostamenti e contatti delle persone senza lederne i diritti fondamentali.
È però molto importante anche un aspetto di politica economica e territoriale sinora trascurato. Il blocco dettato dall’emergenza copre l’Italia intera perché il contagio ha raggiunto ovunque la crescita esponenziale. Una volta controllata questa tendenza, però, conterà la differenza dei picchi di infezione in aree diverse. Uno sblocco efficiente non sarà contemporaneo a livello nazionale. I costi complessivi per salute ed economia si minimizzeranno invece sbloccando per prime le aree meno colpite. Ciò consentirà loro anche di approvvigionare i punti più colpiti, che potranno così sopportare restrizioni più durature. Per esempio, come già sta accadendo, la capacità produttiva inutilizzata, o destinata a produzioni poco redditizie già prima della pandemia, potrà riconventirsi ai prodotti di più urgente necessità.
I dati odierni suggeriscono che il Mezzogiorno potrà ripartire per primo, benché i gravi errori di comunicazione del governo abbiano indotto un esodo da Nord a Sud. A preparare questa strategia meridionale vanno dedicate da subito persone ed energie, specie per assicurare la tracciatura dei contatti e delle infezioni. Non sarà facile imitare il modello coreano partendo dalle regioni in cui il sistema sanitario è più carente e le persone meno tracciabili, vuoi per maggiore povertà, vuoi per un’eredità culturale di acuta e non immotivata diffidenza verso il potere politico. D’altro canto, potrebbe venirci in aiuto la geografia. Il modello coreano richiede uno stretto monitoraggio delle frontiere interne: certo più facile per le isole, e forse anche per l’intero Meridione, che per zone distinte della Pianura Padana.
Vincere questa sfida aiuterebbe sia la redistribuzione progressiva sia l’efficienza economica: circostanza rara, dacché in genere l’una va a discapito dell’altra. In questo caso invece potrebbero ripartire per prime le regioni più povere d’Italia e per ultime le più ricche terminando con la Lombardia. Il Sud, diventando almeno temporaneamente un punto di riferimento produttivo per il Nord e potenzialmente anche per l’Europa, potrebbe avere un’occasione irripetibile per stimolare occupazione e produttività, ridurre secolari divari territoriali e ancorarsi più saldamente al resto d’Europa. Occorre però prepararsi in fretta, e convogliare sull’obiettivo le grandi, ma troppo spesso disperse, energie intellettuali e imprenditoriali del Mezzogiorno. Il governo per primo deve fare un salto di qualità e cominciare a muoversi d’anticipo: d’altronde è ormai palese che continuare a giocare di rimessa sarebbe una strategia perdente.
(Da Il Foglio, 27 Marzo 2020)