di Massimiliano Bonacchi e Paolo Perego
“L’unica responsabilità di un’impresa è creare profitto” sosteneva il premio Nobel Milton Friedman. È stato questo il credo per la corporate America dagli anni ´70. Alla fine di agosto tuttavia il Business Roundtable, un’associazione che raggruppa gli amministratori delegati delle più grandi aziende statunitensi, ha abbandonato la visione che la massimizzazione del profitto sia il principale obiettivo aziendale. L’attenzione sembra essersi allargata alla soddisfazione degli stakeholder, quindi clienti, dipendenti, fornitori, comunità, e generazioni future.
A seguito di questa dichiarazione eclatante, si è riacceso un dibattito, mai sopito in realtà, fra i difensori della shareholder theory (l’impresa è nata per creare profitto) rispetto a chi propone la stakeholder theory (il profitto non può essere ottenuto a danno degli altri stakeholder). Entrambe le teorie se portate all’estremo non funzionano. Se un’azienda mette il profitto davanti al servizio al cliente, oppure inquina o non garantisce condizioni di lavoro dignitoso ai propri dipendenti/fornitori, si espone ormai a rischi di mercato inesorabili. D’altra parte le aziende devono essere efficienti e non possono permettersi di operare come organizzazioni no-profit.
Secondo noi la soluzione consiste nel considerare sia la massimizzazione del profitto che le istanze degli stakeholder non come un obiettivo da raggiungere, ma come un vincolo da rispettare per poter realizzare un progetto aziendale. Per capirsi, l’obiettivo di Steve Job non era semplicemente fare profitto, ma “mettere un computer nelle mani di ogni persona”. In realtà, la soluzione qui prospettata parte da lontano. Si pensi agli imprenditori sociali alla Adriano Olivetti, ma anche agli imprenditori familiari dell’Alto Adige o ai fondatori di imprese innovative che animano il parco tecnologico NOI.
Ma allora responsabilità sociale di impresa che significa? Il termine responsabilità indica rispondere. Nelle culture anglosassoni si utilizza anche il termine ´accountable´ che è invece legato al rendere conto dell’azione fatta. Le aziende devono quindi dimostrare come riescono a rispettare il vincolo della economicità e rispondere in maniera sostenibile alla soddisfazione dei propri stakeholder. Il rispetto di questi vincoli è infatti garanzia che una idea imprenditoriale funzioni e che si svilupperà nel lungo termine.
Se è facile analizzare l’efficienza della gestione economica tramite l’analisi del bilancio aziendale, più complesso è acquisire informazioni sul grado di sostenibilità della gestione o di soddisfazione degli stakeholder. In realtà´, le informazioni sui risultati in ambito ESG (Environmental Social & Governance) ricoprono un ruolo sempre più rilevante nelle scelte aziendali. Ad esempio, gli investitori – tra cui le banche locali altoatesine – selezionano le imprese da finanziare non solo sulla bontà dei bilanci, ma anche sul grado di sostenibilità della gestione.
Sul tema della rendicontazione delle azioni e dei risultati in termini di sostenibilità crediamo ci sia ancora un gap da colmare nella cultura aziendale. È anche per questo motivo che da quest’anno la laurea magistrale in Accounting & Finanza ha introdotto un corso di “Sostenibilità e Bilancio Integrato”. Gli studenti avranno l´opportunità di coniugare le teorie economiche tradizionali con i più recenti approcci di misurazione e gestione della sostenibilità. La sfida rimane aperta nell´integrare tutti gli impatti (economici e non) causati dalle imprese per creare valore condiviso con gli stakeholder in modo responsabile e duraturo nel tempo.