Legittimità e democrazia in Europa: Ancora una volta la necessità di una corretta informazione.

di Cristian Roner

La discussione sulle sorti dell’ideale europeo comprende quello sulla legittimità delle istituzioni che lo realizzano, in particolare quella della Banca Centrale Europea. La diffusa convinzione che l’appello al popolo deve caratterizzare qualsiasi aspetto della vita pubblica accresce la tensione tra tecnocrazia e democrazia. Una buona informazione economica dovrebbe innanzitutto sgombrare il campo da equivoci e false convinzioni per svelare che la realtà è spesso più complicata del previsto.

 

“La banca centrale europea è un’istituzione privata che non ha nulla a che fare con le politiche nazionali”. Queste, grosso modo, le parole che sono riuscito casualmente a captare da una conversazione tra alcuni presenti al primo di una serie di incontri organizzata dalla Facoltà di Economia della Libera Università di Bolzano e riguardanti il giornalismo economico. Il tono categorico di questa affermazione ed il contesto in cui è stata espressa sono un ulteriore utile indicatore della necessità, sempre attuale, di occuparsi di informazione economica per scoprire che la realtà è spesso più complicata del previsto; come del resto è evidenziato da numerosi precedenti contributi pubblicati in questo blog. L’affermazione riportata è interessante perché richiama alcuni importanti temi economici che sono tra loro strettamente legati e che riguardano la posizione ed il ruolo di una banca centrale. E l’occasione si presenta particolarmente adatta nel caso della BCE in quanto quest´anno cade il ventesimo anniversario della sua fondazione mentre alla fine del prossimo anno arriverà a scadenza il mandato di Mario Draghi alla presidenza.

Circa l’aspetto funzionale della banca, l’ultima parte dell’affermazione riportata non è molto lontana dal vero. La BCE infatti deve infatti formulare una politica monetaria che in qualche modo tenga conto della situazione economica prevalente in ciascuno dei diciannove Paesi della zona Euro, ma che sia adatta alla situazione ed alle prospettive dell’intera area monetaria. Chiaramente il compito di considerare come unica un’economia che di fatto non lo è si rivela assai arduo, soprattutto quando alcuni Paesi cadono in recessione mentre altri riescono a starne fuori. L’area sembra sufficientemente omogena da scongiurare questi casi estremi e quando alcuni Paesi cadono in recessione, altri di solito li seguono a breve. Non mancano comunque le pressioni politiche sulla banca da parte dei governi nazionali che vorrebbero contare su una politica monetaria accomodante, se non apertamente favorevole, alle esigenze dell’economia nazionale. Un esempio sempre d’attualità è il confronto tra Germania e Italia: l’una, sempre preoccupata dalla scarsa disciplina nella gestione dei conti pubblici, preme affinché la banca centrale mantenga alta la vigilanza ed una politica monetaria non troppo espansiva, l’altra che ha sempre bisogno di tassi di interessi bassi il più a lungo possibile per potersi finanziare a buon mercato e riuscire a controllare il servizio del debito pubblico, vorrebbe invece una politica monetaria accomodante. In effetti la nomina di un presidente tedesco potrebbe spostare i rapporti di forza in questo confronto.

Al di là di queste contingenze, la peculiare posizione della BCE riporta all’ormai classico tema dell’indipendenza delle banche centrali dal potere esecutivo. Da tempo, diversi studi teorici ed applicati hanno chiarito l’importanza di una banca centrale del tutto indipendente dal governo. Il motivo economico principale deriva dal fatto che una banca centrale indipendente è sistematicamente più in grado di mantenere un basso tasso di inflazione, mentre i Paesi che hanno una banca centrale non indipendente mostrano anche un tasso di inflazione sistematicamente più elevato. In generale, l’indipendenza garantisce che la formulazione della politica monetaria tenga conto esclusivamente delle condizioni economiche presenti e di quelle stimate per il futuro e non dei desideri della politica, dettati spesso da visioni di breve periodo che vedono nella politica monetaria uno strumento molto utile per assicurarsi il consenso, soprattutto con l’approssimarsi di elezioni generali.

Transparency International riporta due casi interessanti in cui governi nazionali hanno limitato l’indipendenza della banca centrale nazionale. Uno di questi è avvenuto in Ungheria. Nel 2013 il primo ministro Orbán ha nominato governatore della banca centrale un suo stretto alleato politico. Negli anni seguenti la banca ha finanziato direttamente l’istituzione di fondazioni attive nell’assegnazione di borse di studio ma anche nell’acquisto di beni di lusso e di opere d’arte. Secondo la BCE si è trattato di operazioni in contrasto con l’articolo 123 del Trattato di Lisbona che proibisce il finanziamento diretto di istituzioni pubbliche (e che proibisce alle banche centrali del sistema europeo l’acquisto di titoli di debito nazionali). Il sospetto più generale in questo episodio è l’uso di denaro pubblico per scopi politici e di corruzione.

Al di fuori dell’area dell’Unione Europea si può assistere a pressioni simili in Turchia. Il presidente Erdogan ha sempre desiderato tassi di interesse bassi per poter alimentare l’espansione del settore immobiliare e tramite esso continuare a spingere la crescita dell’economia, riscuotendo il dividendo politico in termini di voti e popolarità. Negli ultimi mesi questo orientamento di politica monetaria si sta rivelando incompatibile con gli sviluppi dell’economia, del tasso di cambio lira turca-dollaro statunitense e della dinamica del settore immobiliare i quali richiederebbero invece un rialzo dei tassi. Ma i desideri della politica non sono cambiati e i vertici della banca centrale turca sono sottoposti a notevoli pressioni per non modificare l’orientamento della politica monetaria in senso restrittivo. La decisione finale sarà probabilmente un compromesso al ribasso rispetto a quanto necessario.

La prima parte dell’affermazione riportata all’inizio di questo articolo fa invece riferimento alla natura istituzionale della BCE e, complessivamente, sembrerebbe suggerire che la banca centrale è un’istituzione privata che persegue scopi privati. Si può osservare subito che l’obiettivo della stabilità dei prezzi, stabilito nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea del 2007, può tuttavia difficilmente essere definito come un obiettivo nell’interesse di pochi. È vero però che la banca ha adottato una struttura organizzativa e procedurale di tipo aziendale. Il capitale sociale della banca è posseduto per quote ponderate dalle banche centrali nazionali ed i fattori di ponderazione tengono conto della popolazione e del contributo al PIL europeo di ciascuna economia. Con questo sistema di ripartizione, Germania, Francia ed Italia sono nell’ordine i Paesi che detengono le quote maggiori, arrivando a rappresentare insieme oltre il 63 percento del capitale totale. Il fatto di detenere le quote maggiori però non implica un più forte diritto di voto nel consiglio direttivo, nel quale comunque le cinque più grandi economie (attualmente Germania, Francia, Italia, Spagna e Paesi Bassi) dispongono collettivamente di 4 voti, mentre tutti gli altri condividono 11 voti. I profitti eventualmente generati dalla BCE possono essere accantonati dalla banca stessa oppure distribuiti tra le banche centrali azioniste, le quali possono decidere a loro volta se accantonarli, utilizzarli per le proprie attività o destinarli allo stato. In caso di perdite, viene richiesto alle banche centrali azioniste di coprire l’ammontare non compensato dagli accantonamenti degli anni precedenti. Proprio come avviene in una società per azioni.

Gli assetti istituzionali delle banche centrali dell’Eurosistema sono vari. Nel caso della Banca d’Italia, ad esempio, a settembre 2018 risultano 119 partecipanti al capitale sociale, si tratta di banche e imprese di assicurazione e riassicurazione aventi sede legale e amministrazione centrale in Italia; fondazioni, enti ed istituti di previdenza e assicurazione aventi sede legale in Italia e fondi pensione. Inoltre, come si legge nel sito della banca: “La legge n. 5 del 2014 ha riformato il capitale della Banca con l’obiettivo, tra gli altri, di ampliare la platea dei partecipanti, stabilendo un limite massimo del 3 per cento alla quota detenibile da ciascuno di essi.” La compagine societaria è talmente varia che difficilmente si può immaginare la formazione di una coalizione sufficientemente ampia e stabile da arrivare ad influenzare in maniera determinante le decisioni di politica monetaria nella zona euro, senza contare poi che interessi divergenti possono emergere in altre nazioni.

I vertici della banca centrale europea, così come quelli delle banche centrali nazionali, vengono nominati dai governi nazionali, i quali devono trovare un compromesso sui nomi possibili. Ogni forma di partecipazione democratica è quindi del tutto esclusa, sebbene il Parlamento Europeo debba comunque essere consultato prima della nomina dei membri del Comitato Esecutivo della banca. L’esclusione della partecipazione democratica da una istituzione che influenza la vita e le attività di 340 milioni di persone ha suscitato preoccupazioni, tanto da richiamare il problema del deficit democratico più volte evidenziato riguardo la Commissione Europea.

È plausibile poi ipotizzare che nel caso della banca centrale i guadagni in termini di efficienza e di più bassa inflazione dovrebbero compensare i costi derivanti da una minore partecipazione democratica alle decisioni della banca. Per quanto sia dotata di ampi poteri, la banca centrale europea è inoltre sottoposta a diversi controlli interni ed esterni e la sua stessa attività è limitata per statuto a garantire la stabilità dei prezzi. L’indipendenza è circoscritta dalla responsabilità (accountability) e dalla trasparenza (transparency) delle decisioni prese e del processo che ha portato alla loro formulazione.

Secondo il principio dell’accountability, la banca centrale è ritenuta responsabile delle decisioni prese che devono essere spiegate e giustificate pubblicamente. Sul piano legale e consuetudinario la banca è responsabile di fronte al Parlamento Europeo, alla Corte dei Conti Europea, al Garante dei diritti dei cittadini ed alla Corte di Giustizia Europea. Quest’ultima istituzione è poi l’unica a detenere poteri sanzionatori in caso di violazioni. Non si tratta quindi solamente di un ruolo nominale ed interlocutorio: l’ultimo importante caso trattato dalla Corte con la BCE parte in causa riguardava il programma di acquisto di titoli di debito pubblico.

Il principio della transparency ha assunto importanza sia come compensazione per l’assenza di partecipazione democratica alle decisioni, sia come strumento di politica monetaria. Le due dimensioni spesso si confondono. In un contesto in cui le persone formano razionalmente le proprie aspettative anticipando le mosse della banca centrale, la trasparenza assume la valenza di strumento di politica monetaria, in quanto la banca deve comunicare chiaramente i propri obiettivi se intende influenzare i mercati nella maniera desiderata. Dunque tutti gli strumenti di comunicazione utilizzati finiscono per servire il doppio fine di influenzare i mercati da un lato e di realizzare l’accountability dall’altro. Oltre alla reportistica che la banca centrale europea è tenuta a produrre periodicamente, altri importanti passi verso la trasparenza sono rappresentati dalla pubblicazione, a partire dal 2015, dei resoconti delle riunioni del consiglio direttivo, nel quale viene valutata la situazione economico-finanziaria e discusso l’orientamento futuro della politica monetaria. Questo documento è un ausilio importante per comprendere le modalità con le quali il Consiglio interpreta la situazione economica e formula le corrispondenti politiche e le ragioni che hanno portato ad una certa decisione. Un’altra importante innovazione riguarda la maggiore trasparenza circa il bilancio della banca e più in particolare sull’ammontare di acquisti di titoli nell’ambito del programma di interventi monetari straordinari deciso dalla banca in seguito alla crisi economica.

La combinazione di responsabilità e trasparenza non è certo un perfetto sostituto della democrazia piena e diretta; e non sopperisce alla necessità di ampliare le prerogative del Parlamento Europeo in merito al processo di nomina dei vertici della banca centrale. Tuttavia, in assenza di esempi storici di banche centrali funzionanti in regime di democrazia diretta che possano servire da riferimento e confronto, nulla garantisce che un sistema pienamente democratico offra risultati migliori per quanto riguarda le funzioni e gli obiettivi di una banca centrale. Norberto Bobbio in “Il futuro della democrazia” scrisse che: “Tecnocrazia e democrazia sono antitetiche: se il protagonista della società industriale è l’esperto non può essere il cittadino qualunque. La democrazia si regge sulla ipotesi che tutti possono decidere di tutto. La tecnocrazia, al contrario, pretende che chiamati a decidere siano i pochi che se ne intendono.” L’opportunità di limitare la discrezionalità tecnocratica e di rendere sempre più trasparente l’attività di una banca centrale deve quindi essere bilanciata dalla necessità di una istituzione che deve rimanere indipendente e formata da persone competenti. A maggior ragione in un periodo come questo in cui in Europa si è diffusa la convinzione che l’appello al popolo debba caratterizzare qualsiasi aspetto della vita pubblica. Ma tutto questo, nelle circostanze attuali, assume senz’altro un’importanza del tutto secondaria mentre si discute sulle prospettive e sulla sopravvivenza stessa dell’ideale europeo.

 

Fonti consultate:

Scheller, K. H. (2004). The European Central Bank. History, Role and Functions.

Transparency International EU (2017). Two Sides of the same Coin? Independence and Accountability of the European central Bank.

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