di Mirco Tonin
Molti studenti, con le loro famiglie, si sono cimentati di recente (in Provincia di Bolzano si stanno ancora cimentando), con l’iscrizione alle scuole secondarie. Inoltre, le procedure di ammissione ai corsi universitari sono aperte o lo saranno nei prossimi mesi. Ci troviamo dunque in un periodo in cui si devono prendere decisioni particolarmente importanti, con ripercussioni che vanno ben oltre gli anni di studio, visto che la scelta della scuola secondaria o del corso di laurea da frequentare ha un impatto rilevante sulle opportunità, lavorative e non solo, per il resto della vita. In prossimità dell’8 marzo vi è anche una maggiore attenzione alle tematiche femminili, e risulta quindi specialmente appropriato discutere i risultati di un lavoro di ricerca condotto nelle scuole del Nord Italia circa gli effetti sugli studenti, o meglio, sulle studentesse dei pregiudizi di genere dei professori.
La ricerca è di Michela Carlana, una giovanissima studiosa che, dopo il dottorato in economia presso l’università Bocconi, ha appena iniziato la carriera accademica presso l’università di Harvard. Michela Carlana ha misurato, attraverso il cosiddetto test di associazione implicita tra genere e scienza, gli stereotipi di genere di circa 1.400 insegnanti in più di cento scuole medie da Padova a Genova, osservando inoltre circa novemila studenti di tali scuole.
Quello che emerge è che avere un insegnante di matematica con pregiudizi di genere, un insegnante quindi che in qualche modo ritiene che le donne siano «meno portate» per i numeri, comporta voti più bassi in matematica, specialmente per le ragazze provenienti da un contesto familiare svantaggiato. Le ragazze interiorizzano un simile giudizio, ritenendosi esse stesse meno abili nelle discipline scientifiche.
Inoltre, in queste situazioni di pregiudizio, le ragazze vengono consigliate dagli insegnanti di iscriversi a una scuola superiore meno impegnativa, un istituto professionale invece che un liceo, indicazione che le porta effffettivamente a scegliere in maniera diversa rispetto a ragazze simili che hanno però la fortuna di avere un insegnante privo di pregiudizi, con le conseguenze di lungo periodo cui si accennava sopra.
Evitare che le ristrette vedute di qualcuno vadano a pregiudicare le opportunità delle persone non è solo una questione di giustizia ed equità, ma anche di efficienza. Si parla spesso di capitale umano e impedire che il talento delle persone si realizzi pienamente solo perché hanno certe caratteristiche, in questo caso il genere, rappresenta una perdita netta. Perdita che un Paese come l’Italia non può evidentemente più permettersi.
Pubblicato sul Corriere dell’Alto Adige il 7 marzo 2019