di Monica Rosini
Il procedimento di formazione del Governo è disciplinato da scarne norme costituzionali, che prevedono che il Presidente della Repubblica nomini il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta, di questi i ministri (art. 92, co. 2, Cost.); che questi, prima di assumere le funzioni, prestino giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica (art. 93) e che entro dieci giorni dalla formazione il Governo si presenti alle Camere per ottenere la fiducia (art. 94). Le lacune costituzionali sono colmate da norme non scritte: consuetudini, convenzioni, norme di correttezza costituzionale… Molte di queste regole negli ultimi anni sembrano essere saltate a dimostrazione che la forma di governo concretamente operante è frutto anche – inevitabilmente – di condizionamenti politici e istituzionali (dal sistema dei partiti alla legge elettorale).
Tra queste prassi resiste quella del Presidente del Consiglio incaricato di svolgere delle “piccole consultazioni” (come le ha definite recentemente Alessandro Morelli), dopo aver accettato con riserva l’incarico dal Presidente della Repubblica. Queste consultazioni non hanno l’ufficialità di quelle che il Capo dello Stato svolge dopo l’apertura della crisi, ma sono comunque importanti per accertare la sussistenza dei presupposti per la successiva nomina presidenziale, presupposti consistenti nella “formula politica” e nella struttura del Governo (le tanto denigrate “poltrone”). La necessità, imposta dai risultati delle elezioni del 4 marzo 2018, di formare esecutivi di coalizione fra partiti con programmi elettorali diversi, e per significativi aspetti persino contrastanti, ha conferito a questa fase una importanza, ampiezza e formalità finora sconosciute. Il Presidente incaricato Giuseppe Conte ha, infatti, formalmente ricevuto i rappresentanti delle forze politiche, anche di quelle (Lega e Fratelli d’Italia) della cui opposizione era ben certo, che al termine dei colloqui non hanno mancato di rendere dichiarazioni alla stampa, in alcuni casi particolarmente sorprendenti (come quella del capo politico del M5S, Luigi Di Maio, che riportava il caos nelle trattative con il PD). Conte ha, poi, esteso le sue consultazioni ad alcune associazioni delle persone con disabilità e a una delegazione di comitati e associazioni di cittadini delle aree terremotate del Centro Italia.
Ma non si tratta di una novità, già il precedente incarico, sempre a Conte, era stato seguito da ampie consultazioni, estese anche a forze sociali. La vera novità di questa volta è la decisione del M5S di sottoporre a una votazione online, sulla piattaforma Rousseau, la decisione di formare un governo guidato da Giuseppe Conte (già Presidente incaricato) con il Partito Democratico. Una consultazione dagli esiti – alla vigilia – non scontati date le posizioni radicalmente opposte dei due partiti solo fino a qualche settimana fa e che avrebbe rischiato di far naufragare la formazione del nuovo governo.
Dal punto di vista politico, la questione è stata risolta dai risultati ampiamente favorevoli (ben il 79,3%) alla nuova formula di governo. Dal punto di vista costituzionale, rimangono gli interrogativi sull’inserimento di tale variabile di assoluta novità nella fase delle “piccole consultazioni”: un voto su piattaforma e-voting degli iscritti al M5S in una fase avanzata del procedimento di formazione del governo, ovvero dopo il conferimento dell’incarico da parte di Mattarella. Nel caso della formazione del Governo Conte I la consultazione on line sul “contratto di governo” era, invece, avvenuta prima del conferimento dell’incarico da parte del Presidente della Repubblica, non dopo.
Interrogativi, quindi, sulla modalità e i tempi dell’iniziativa.
Quanto al metodo, dal punto di vista del diritto costituzionale non sembrano porsi problemi. Lo scriveva un noto costituzionalista (Martines) più di 30 anni fa: «lo Stato oggi in Italia si disinteressa del modo in cui si vota all’interno delle organizzazioni di partito, sicchè bene potrebbe accadere che gli statuti non prevedano la personalità, l’eguaglianza o la segretezza del voto». I partiti sono associazioni di diritto privato e lo Stato rimane estraneo alla loro organizzazione interna. Nulla questio, quindi, se il segretario di un partito viene scelto tramite primarie aperte anche ai non iscritti e se il segretario di altro decide, in completa solitudine, di aprire una crisi di governo. Perché condannare un partito che decide di consultare i propri iscritti tramite una procedura di voto elettronico? Nessun motivo, se non la nostra avversione per modalità di voto nuove e della cui sicurezza e affidabilità dubitiamo. E di cui dubita anche il Garante per la protezione dei dati personali che solo ad aprile ha ritenuto che la piattaforma Rousseau «non consente di garantire l’integrità, l’autenticità e la segretezza delle espressioni di voto, caratteristiche fondamentali di una piattaforma di e-voting (almeno sulla base degli standard internazionali comunemente accettati)». Si tratta, quindi, di una piattaforma non sicura che mette a rischio la riservatezza dei dati personali (e per questo sanzionata), ma nonostante questo rimane una modalità di decisione non preclusa ad un partito politico o ad un’associazione privata. E questo apre un tema di cui si è a lungo infruttuosamente parlato: una legge sui partiti.
Allora sono sbagliati i tempi? L’iniziativa è stato detto «contiene uno sgorbio costituzionale, nonché due sgarbi, uno al Presidente della Repubblica, l’altro al Parlamento, soprattutto al gruppo parlamentare del M5S» (Melzi d’Eril e Vigevani). In questa fase della formazione del governo (dopo l’incarico) non vi sarebbe spazio «per un’interrogazione a soggetti estranei al dialogo istituzionale». La base del M5S avrebbe potuto essere consultata, prima di portare la proposta del nome di Conte al Capo dello Stato, non dopo, quanto già dovrebbe esserci una maggioranza coesa e la ragionevole aspettativa di contare sull’appoggio di parlamentari che sostengano l’azione di governo.
Sì, forse è mancata una certa correttezza costituzionale (ma poi esattamente cos’è? E quali conseguenze ha il suo “tradimento”?) nei confronti di Mattarella che aveva chiesto ai partiti una risposta chiara e non condizionata per una celere risoluzione della crisi in vista del fondamentale appuntamento della legge di bilancio. Ma a ben vedere tante sono le variabili introdotte negli anni nelle “piccole consultazioni” del Presidente del Consiglio e, più in generale, nel procedimento di formazione del governo (lo stesso incarico non è previsto da nessuna norma; né il preincarico, né tantomeno il mandato esplorativo). È la natura stessa del procedimento di formazione di un nuovo governo ad essere aperta all’introduzione di variabili volte a verificare la possibilità di formare un nuovo esecutivo. Il Presidente accetta l’incarico con riserva e, quindi, nessuna certezza può dare sugli esiti del procedimento. È grazie alle sue “piccole consultazioni” che verifica la sussistenza di una maggioranza a suo sostegno. Non sembra, quindi, porre problemi la votazione sulla piattaforma Rousseau, che semplicemente introduce una nuova variabile come tante volte accaduto nella prassi del procedimento di formazione dell’esecutivo.
In conclusione, i costituenti ci avevano visto giusto nel non irrigidire troppo le fasi di formazione del governo. Ciò ha consentito un agevole adattamento alla stagione del maggioritario e, oggi, alla stagione del tripolarismo, del movimento che non essendo né di destra né di sinistra si può alleare indifferentemente (?) con partiti di destra e di sinistra. Forse, invece, avrebbero dovuto dirci qualcosa di più sui partiti politici, che svolgono ancora un ruolo insostituibile (ci scuserà Rousseau) nel quadro costituzionale: la loro democrazia interna è veramente un fatto privato che non deve riguardare lo Stato e i cittadini?