di Federico Boffa
“Abbattuti i boschi generalmente compare l’acqua … Generalmente poi, a causa della vegetazione abbattuta, le acque devastanti dirompono dai colli”. Non si tratta di una premessa, scritta in un linguaggio un po’ arcaico e colorito, alle linee guida per l’utilizzo del Recovery fund nella direzione di investimenti ambientali, quanto di un brano risalente al primo secolo dopo Cristo, tratto dalla Storia Naturale di Plinio il Vecchio. Lo scrittore comasco ci ricorda che gli antichi erano già ben consapevoli della necessità di tutelare l’ambiente.
D’altronde, lo dimostra anche il fatto che in Cina esistessero normative ambientali codificate più di duemila anni fa. Le leggi agricole delle dinastie Qin e Han, che governarono la Cina dal 200 a.C. al 200 d.C. circa, limitavano, ad esempio, la possibilità di disboscamento alla sola stagione estiva e impedivano di bloccare il corso dei fiumi.
Più recentemente, l’esigenza di tutela ambientale ha ripreso nuovo vigore, nonché nuove finalità, fra cui il rallentamento del cambiamento climatico, la tutela della biodiversità e il risparmio delle risorse non rinnovabili. Le politiche che consentono di raggiungere questi obiettivi non sono, tuttavia, per nulla facili da implementare, in particolare perché richiedono strategie di sistema e un elevato livello di coordinamento. Coordinamento tra Paesi, innanzitutto. Pensiamo al riscaldamento globale: esso dipende dal complesso mondiale delle emissioni di anidride carbonica. Interventi limitati in un territorio specifico sono inefficaci. Le attività ad alte emissioni di anidride carbonica tenderanno infatti semplicemente a spostarsi in un altro Paese, vanificando gli effetti dell’intervento. Ma anche coordinamento tra settori. La transizione ai veicoli elettrici, ad esempio, abbatte le emissioni soltanto se associata ad una transizione verso fonti a minori emissioni nella produzione elettrica.
La tutela dell’ambiente ha, quindi, importanti impatti “macro” di larga scala, sulla crescita e sulla sostenibilità ambientale. A ben guardare, tuttavia, essa ha un secondo tipo di effetti, non di minore importanza: migliora la qualità della vita di ciascuno di noi. Una recente ricerca interdisciplinare, che ha coinvolto diverse facoltà dell’Università di Bolzano, coordinata da Stefan Zerbe e Andrew Speak, si è concentrata su un aspetto della qualità ambientale, quello del verde urbano, analizzandone l’impatto sulla soddisfazione individuale e sulla qualità della vita. Studiando le città, e in particolare le piazze, in Alto Adige, é emerso chiaramente che il verde urbano non ha una funzione puramente ornamentale, ma è considerato dai residenti essenziale per un ambiente salutare e per il benessere delle persone. Ne deriva che esso influenza anche il mercato immobiliare. L’analisi economica, riferita al comune di Bolzano, mostra infatti, in linea con una consolidata letteratura internazionale, come la presenza di verde urbano aumenti il valore degli edifici, in misura maggiore per gli edifici residenziali, minore per quelli adibiti ad ufficio.
Il verde urbano, quindi, paga anche dal punto di vista finanziario, ed è auspicabile che se ne tenga conto in fase di elaborazione delle future politiche di pianificazione urbana. Potrebbe proprio essere la politica locale a dare nuovo slancio alla tutela dell’ambiente, e a farsi promotrice, con un approccio “dal basso” di iniziative che, infine, portino ad azioni coordinate fra i diversi Paesi.
P.S. Una mostra con i principali risultati della ricerca, esposti in forma fotografica insieme ad alcune fotografie delle piazze storiche di Bolzano, sarà visitabile nel foyer del municipio di Bolzano dal 28 settembre al 16 ottobre 2020.