di Mirco Tonin e Federico Boffa
Il contrasto al declino demografico richiede un impegno serio e credibile da parte delle istituzioni. Ne potrebbe essere un esempio il riconoscimento del voto ai minori, esercitato attraverso i genitori. Magari rafforzando anche la rappresentanza femminile.
Il problema del declino demografico
Nella pressoché totalità dei paesi avanzati il tasso di fecondità è inferiore ai due figli per donna. Nel medio termine la popolazione è dunque destinata a diminuire. In Italia la situazione è particolarmente allarmante: la popolazione residente è significativamente diminuita già nel 2018, con un calo di più di 120 mila unità.
La riduzione della popolazione genera grossi problemi nel lungo termine: il più evidente, per quanto forse neppure il principale, è la sostenibilità dei sistemi pensionistici, basati sul principio per cui i versamenti di chi lavora finanziano le erogazioni destinate ai pensionati.
Per frenare il calo demografico, si discute spesso di misure di sostegno alla natalità, quali finanziamenti per servizi di asilo nido, oppure sussidi o forme di detassazione diretti alle famiglie che decidono di avere figli. Si tratta di interventi su cui, in linea di principio, vi è ampio consenso. Tuttavia, quando si tratta di decidere come effettivamente distribuire le risorse tra le varie voci di spesa del bilancio pubblico, molto spesso si dà la precedenza ad altri settori.
“Una testa, un voto” per dare priorità agli interventi pro natalità
Vi è quindi un problema di priorità politiche e la tendenza in atto all’invecchiamento della popolazione non ne agevolerà certo il superamento, anzi presumibilmente lo acuirà.
Temi quali le politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia o, in termini molto pratici, l’installazione di fasciatoi nei luoghi pubblici, sono presumibilmente di grande interesse per genitori con figli piccoli, molto meno per i pensionati, che tenderanno magari a focalizzare la loro attenzione su problematiche più vicine alla loro esperienza, ad esempio sui tempi di attesa in sanità. Il politico accorto ne tiene conto e adegua di conseguenza la propria proposta politica. Se, con la tendenza in atto, il numero di elettori con figli giovani dovesse poi ridursi ulteriormente, il ritorno elettorale di politiche pro-natalità diminuirà ancor di più, rischiando di innescare un circolo vizioso che conduce a una spirale di diminuzione della popolazione.
Come fare per invertire la tendenza e aumentare l’appetibilità politica di interventi a favore della natalità? Una proposta è quella di prendere alla lettera il principio “una testa, un voto”, includendo nella sua applicazione anche i minori. Certo, non ha senso far votare i bambini, ma potrebbe invece essere utile delegare il voto dei figli minorenni ai genitori. Aumenterebbe così immediatamente il peso elettorale della popolazione con figli minori, allo stesso tempo rispettando il principio della rappresentatività democratica e assicurando il requisito di un voto consapevole. Non si tratta di una proposta nuova: è stata infatti già discussa, sia nella letteratura sociologica, che in quella giuridica.
Una forza elettorale del 20 per cento
Secondo i dati del ministero dell’Interno, il numero di elettori residenti in Italia è di circa 47 milioni (con ulteriori 4,5 milioni residenti all’estero); mentre, secondo i dati Istat, i cittadini italiani residenti al di sotto dei 18 anni sono quasi 9 milioni. Si tratterebbe quindi di quasi il 20 per cento dell’elettorato, una componente certo non trascurabile per le forze politiche, che potrebbe modificare le priorità.
Se si decidesse di percorrere questa strada, occorrerebbe stabilire chi dei due genitori abbia la facoltà di rappresentare il figlio nel segreto dell’urna. Nel caso di coppie con un numero pari di figli, si potrebbe assegnare un voto “aggiuntivo” per ciascun genitore. In caso di numero di figli dispari la situazione è più complicata, ma risolvibile, ad esempio, alternando il genitore nelle varie tornate elettorali.
C’è però un’altra possibilità. Un recente lavoro analizza gli effetti della doppia preferenza di genere nei comuni italiani e mostra che le donne quando agiscono come decisori politici hanno una maggiore attenzione verso le spese per beni pubblici con effetti di lungo periodo, quali l’educazione e l’ambiente. Se questo comportamento si trasferisce dall’elettorato passivo a quello attivo, si può ipotizzare, per quanto non sia ancora stato testato empiricamente, che le donne dimostrerebbero un maggiore orientamento al lungo periodo nel loro voto e rappresenterebbero dunque il soggetto ideale a cui affidare la delega.
Lo strumento del diritto di voto ai minorenni tramite la delega alle madri potrebbe risultare efficace per due motivi. Assicurerebbe una più efficace rappresentazione delle esigenze dei bambini, con un presumibile effetto sulla natalità. Allo stesso tempo, potrebbe essere un modo per aumentare la rappresentanza delle istanze delle donne e contribuire così al percorso verso un’effettiva parità di genere, con conseguenze potenzialmente positive su un ampio spettro di tematiche.
Pubblicato su Lavoce.info il 6 settembre 2019