“Elezioni in USA: non confondiamo le predizioni con i buoni auspici”, intervista con Roberto Farneti
Le elezioni di mid-term, che si terranno il 6 novembre, rappresentano un appuntamento cui tutto il mondo guarda sempre con grande attenzione. Ne parliamo con il politologo Roberto Farneti.
Midterm Elections negli Stati Uniti. La posta in gioco è alta: si vota per eleggere i deputati, 435, e un terzo dei 100 senatori (oltre a 36 governatori di Stato e a migliaia di altre cariche a livello statale e locale) della più grande democrazia. Si tratta però anche di un’occasione per capire se il Partito Democratico può riprendere la corsa che porti un suo candidato alla Casa Bianca nel 2021 e se un insuccesso possa ridimensionare le ambizioni e le azioni del presidente Trump. Ne abbiamo parlato con il prof. Roberto Farneti, politologo della Facoltà di Economia, che conosce bene gli Stati Uniti avendo insegnato e fatto ricerca in diversi atenei a stelle e strisce.
Alla vigilia delle elezioni di metà mandato, quali sono le tematiche che stanno dominando il dibattito politico negli USA?
Sono molti i temi che agitano il dibattito, alcuni costituiscono piccole meteore elettorali che Trump ha usato già a suo tempo per segnalare la sua attenzione verso temi comunque cari a molti repubblicani, come ad esempio l’opportunità di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme. Ma altri sono i temi caldi di questi giorni, come ad esempio lo ius soli e le politiche sull’immigrazione. In ogni caso l’atteggiamento è quello canonico del divide et impera, è la via breve e rischiosa al consenso, dividere gli americani in due grandi entità contrapposte, da una parte i portatori di un’americanità autentica, di valori fondamentali ed esclusivi di cui è portatrice quella classe media che con Trump si è convinta di riavere una voce e dall’altra parte il grande nemico interno, i democratici colpevoli di avere affossato valori e interessi genuinamente americani.
Quante sono le probabilità che Trump e i repubblicani mantengano la maggioranza nelle due Camere?
È difficile fare previsioni e vedo in America la propensione solita a confondere le predizioni coi buoni auspici. Il linguaggio aggressivo di Trump sui temi più facili dimostra a mio giudizio un’insicurezza di fondo, specie dopo la sconfitta repubblicana alle elezioni governatoriali in Virginia esattamente un anno fa. Trump sta mandando segnali forti ai suoi elettori, sta dicendo che le grandi cose che ha in mente le può fare solo con una maggioranza al Congresso. È difficile capire se e da quanti sarà ascoltato. È però pressoché certo che il Senato rimarrà in mano ai repubblicani — si vota soltanto per 33 seggi su 100, la maggior parte dei quali è già in mano democratica — mentre per la Camera dei Rappresentanti i giochi sembrerebbero aperti.
Quali sono le tematiche che fanno più presa sugli elettori di Trump?
La politica americana non prevede uno scontro tra grandi piattaforme ideologiche ma tra candidati nei singoli collegi. È difficile a mio giudizio pensare di dipingere uno scenario su larga scala in un momento in cui l’elemento che davvero divide non è un tema in particolare ma lo stesso presidente. Questo è un elemento di relativa novità, il fatto che anche molti elettori sembrano aver perso di vista le questioni reali e accettano, forse, di vivere in una realtà trumpiana in cui i valori americani sono minacciati da immigrati, globalizzazione e omosessualità.
Sul fronte democratico, quali sono i contenuti su cui si sta concentrando la loro campagna elettorale?
Credo che i democratici stiano cercando di sollevare questo velo illusorio per mostrare una verità diversa. Anche se, curiosamente, le loro parole sembrano uguali e contrarie a quelle dei repubblicani, nel senso che anche loro parlano di riscattare gli americani lasciati fuori, abbandonati, dimenticati in questi due anni.
Se i democratici dovessero prevalere e avere la maggioranza le indagini sul presidente e il suo entourage avrebbero più slancio e si potrebbe arrivare a una richiesta di impeachment?
L’impeachment richiede numeri altissimi e dovrebbe arrivare, a mio parere, per iniziativa repubblicana. Si tratta però di un’ipotesi remota.
Nel caso in cui il presidente si trasformasse in un’anatra zoppa, come potrebbero modificarsi la sua politica interna e quella estera?
Non penso che cambierebbe granché. Il segno che Trump sta lasciando è nel linguaggio, nel discorso di un’America incattivita da crisi e disoccupazione e dal fatto che i democratici sono stati a lungo evasivi riguardo a responsabilità e colpe. In questo senso Trump rimarrebbe lo stesso di sempre, continuerebbe a dividere attraverso i soliti, fastidiosi, tweet ma non riuscirebbe a portare a termine un lavoro importante e forse meno compreso da questo lato dell’Atlantico: le maggioranze politiche dentro al congresso americano servono anche a modellare la composizione della Corte Suprema. In questo senso la vittoria politicamente più significativa, ma anche la più odiosa per i democratici, è l’insediamento di Brett Kavanaugh alla Corte Suprema poco più di un anno di distanza dalla nomina, da parte di Trump, di Neil Gorsuch. La conferma di una forte maggioranza repubblicana al Congresso apre scenari in merito alle prossime nomine, in considerazione del fatto che i due giudici (su nove) al momento ultraottantenni sono stati entrambi nominati da Clinton. Credo che la posta in gioco per i democratici, in questo senso, sia molto più alta di quanto in molti credano, specie in Europa. Anche per questo motivo le elezioni di mid-term sono importanti, per evitare che Trump possa usare anche la Corte Suprema per dividere l’America.
Quale ruolo pensi giocheranno gli eventi più recenti – la strage di Pittsburgh e le bombe a sostenitori ed esponenti del Partito Democratico – sulle elezioni?
Non saprei dirlo, la retorica di Trump cerca di dividere, di costruire un senso di appartenenza, del noi, suggerendo l’esistenza in America di una specie di stato di emergenza, per cui ogni occasione è buona, come in questo caso — nel raduno di Pittsburgh dopo la sparatoria — per ripetere ancora le stesse cose, i confini devono essere sicuri, i criminali puniti e così via. Ogni evento che faccia gioco è un’occasione per rilanciare sugli stessi temi di sempre.
Che partito è ora il GOP, il Partito Repubblicano? È completamente “trumpizzato” o ci sono segnali di personalità che possono riportarlo lontano dal presidente?
Trump è evidentemente, per i repubblicani, un second best, ma al momento è l’unico veicolo possibile per fare alcune cose comunque care ai repubblicani. Le nomine alla Corte Suprema del resto sono questo, esprimono una linea comune col partito in maggioranza al Congresso. I repubblicani hanno finito per svelare negli ultimi anni un segreto un tempo ben conservato, che cioè esiste all’interno del partito una molteplicità di anime. Io penso che non ci sia un’anima trumpiana, nondimeno è difficile immaginare un candidato repubblicano capace al momento di togliere la scena a Trump; forse qualcosa è all’orizzonte ma aspettiamo le elezioni.