Industria – Un bene per tutti

di Mirco Tonin

Le tecnologie che caratterizzano la cosiddetta Industria 4.0 hanno il potenziale di incrementare in maniera considerevole la produttività, un fattore fondamentale per il benessere economico di un territorio. Per questo motivo è necessario incentivarne l’adozione in maniera diffusa, anche in quelle aziende di piccole dimensioni che costituiscono una parte importante dell’economia locale, ma non hanno necessariamente le risorse per sperimentare. Vanno in questa direzione iniziative come la recente apertura a Bolzano del Smart Mini Factory Lab o lo Smact, il centro di competenza del Triveneto sui temi dell’economia digitale, cui partecipano anche le università di Bolzano e Trento.
Per poter avvantaggiarsi appieno dei cambiamenti tecnologici e per fare in modo che i guadagni di produttività siano distribuiti in maniera equa, bisogna che la popolazione disponga di competenze adeguate. Questo è particolarmente vero in una realtà come l’Alto Adige dove, a seguito del bilinguismo, il mercato del lavoro è relativamente protetto e chiuso, soprattutto in settori quali la pubblica amministrazione, ma non solo. Mentre in altri territori lo squilibrio tra domanda e offerta di competenze può essere colmato attingendo ad un mercato del lavoro relativamente ampio, e in alcuni casi addirittura globale, questo è molto più difficile nel contesto locale.
La situazione nel settore della sanità dovrebbe servire da monito. Come assicurarsi che siano disponibili competenze adeguate? Prima di tutto occorre affiancare all’approccio che si focalizza sulle tecnologie un approccio più attento ai fattori umani e sociali. In altri termini, porre accanto all’industria 4.0 il tema del lavoro 4.0. L’ Istituto promozione lavoratori AfiIpl ha fatto di questo tema il filo conduttore delle sue attività per il 2018 e in un recente incontro si è discusso proprio del tema delle competenze, sottolineando l’importanza della formazione.
Troppo spesso però la formazione, anche a seguito degli interventi legislativi volti ad incentivarla, viene vissuta in maniera meramente formale, come accumulo di crediti volti magari a soddisfare un obbligo normativo. Si presta molta attenzione all’input, ai fondi stanziati o alle ore di formazione effettuate, lasciando invece in secondo piano quello che dovrebbe essere l’obiettivo ultimo delle attività, l’output, le competenze effettivamente sviluppate. Inoltre, la formazione non può essere relegata a momenti specifici, utili ma isolati, e deve diventare diffusa. Un articolo di giornale, una trasmissione radiofonica, un evento divulgativo possono essere attività di formazione. Si tratta di riconoscerle come tali e di sfruttarne appieno il potenziale.

Pubblicato sul Corriere dell’Alto Adige e Corriere del Trentino il 2 novembre 2018

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